Populorum Progressio
Il 26 marzo 1967 Papa Paolo VI ha indirizzato ai Vescovi, sacerdoti, religiosi, fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà la Lettera Enciclica Populorum Progressio.
Qui la riportiamo nei punti che trattano il tema della Solidarietà
INTRODUZIONE
LA QUESTIONE SOCIALE È QUESTIONE MORALE
Sviluppo dei popoli
1. Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa. All’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano II, una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità.
[...]
Giustizia e pace
5. Infine, recentemente, nel desiderio di rispondere al voto del concilio e di volgere in forma concreta l’apporto della santa sede a questa grande causa dei popoli in via di sviluppo, abbiamo ritenuto che facesse parte del nostro dovere il creare presso gli organismi centrali della chiesa una commissione pontificia che avesse il compito di "suscitare in tutto il popolo di Dio la piena conoscenza del ruolo che i tempi attuali reclamano da lui, in modo da promuovere il progresso dei popoli più poveri, da favorire la giustizia sociale tra le nazioni, da offrire a quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che le metta in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso": Giustizia e pace è il suo nome e il suo programma. Noi pensiamo che su tale programma possano e debbano convenire, assieme ai nostri figli cattolici e ai fratelli cristiani, gli uomini di buona volontà. È dunque a tutti che noi oggi rivolgiamo questo appello solenne a una azione concertata per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità.
I. PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL’UOMO
[...]
2. LA CHIESA E LO SVILUPPO
[...]
17. Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità intera. Non è soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere.
[...]
II. VERSO LO SVILUPPO SOLIDALE DELL’UMANITÀ
Fraternità dei popoli
43. Lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità. Come dicevamo a Bombay: "L’uomo deve incontrare l’uomo, le nazioni devono incontrarsi come fratelli e sorelle, come i figli di Dio. In questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra, noi dobbiamo parimenti cominciare a lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità". E suggerivamo altresì la ricerca di mezzi concreti e pratici di organizzazione e di cooperazione, onde mettere in comune le risorse disponibili e così realizzare una vera comunione fra tutte le nazioni.
44. Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presenta sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale.
[...]
Dovere di solidarietà
48. Il dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli; "Le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo". Bisogna mettere in pratica questo insegnamento conciliare. Se è normale che una popolazione sia la prima beneficiaria dei doni che le ha fatto la Provvidenza come dei frutti del suo lavoro, nessun popolo può, per questo, pretendere di riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone. Ciascun popolo deve produrre di più e meglio, onde dare da un lato a tutti i suoi componenti un livello di vita veramente umano, e contribuire nel contempo, dall’altro, allo sviluppo solidale della umanità. Di fronte alla crescente indigenza dei paesi in via di sviluppo, si deve considerare come normale che un paese evoluto consacri una parte della sua produzione al soddisfacimento dei loro bisogni; normale altresì che si preoccupi di formare educatori, ingegneri, tecnici, scienziati, destinati a mettere scienza e competenza al loro servizio.
[...]
Ostacoli da superare: il nazionalismo e il razzismo
62. Altri ostacoli si oppongono alla edificazione di un mondo più giusto e più strutturato secondo una solidarietà universale: intendiamo parlare del nazionalismo e del razzismo. È naturale che delle comunità da poco pervenute all’indipendenza politica siano gelose di una unità nazionale ancora fragile, e si preoccupino di proteggerla. È pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio, che hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana. Il nazionalismo isola i popoli contro il loro vero bene; e risulterebbe particolarmente dannoso là dove la fragilità delle economie nazionali esige invece la messa in comune degli sforzi, delle conoscenze e dei mezzi finanziari, onde realizzare i programmi di sviluppo e intensificare gli scambi commerciali e culturali.
[...]
Verso un mondo solidale
64. Una tale situazione, così gravida di minacce per l’avvenire, ci affligge profondamente. Conserviamo tuttavia la speranza che un bisogno più sentito di collaborazione, un sentimento più acuto della solidarietà finiranno coll’aver la meglio sulle incomprensioni e sugli egoismi. Speriamo che i paesi a meno elevato livello di sviluppo sappiano trarre profitto da buoni rapporti di vicinanza coi paesi confinanti, allo scopo di organizzare tra di loro, sopra aree territoriali più vaste, zone di sviluppo concertato: stabilendo programmi comuni, coordinando gli investimenti, distribuendo le possibilità di produzione, organizzando gli scambi. Speriamo anche che le organizzazioni multilaterali e internazionali trovino, attraverso una necessaria organizzazione, le vie che permetteranno ai popoli tuttora in via di sviluppo di uscire dal punto morto in cui paiono dibattersi come prigionieri e di rinvenire da se stessi, nella fedeltà al genio di ciascuno, i mezzi del loro progresso sociale e umano.
Tutti i popoli artefici del loro destino
65. Perché è proprio a questo che bisogna arrivare. La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino. Il passato è stato troppo spesso contrassegnato da rapporti di forza tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le relazioni internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e dell’amicizia, dell’interdipendenza nella collaborazione, e della promozione comune sotto la responsabilità di ciascuno. I popoli più giovani e più deboli reclamano la parte attiva che loro spetta nella costruzione d’un mondo migliore, più rispettoso dei diritti e della vocazione di ciascuno. Il loro appello è legittimo: a ognuno d’intenderlo e di rispondervi.
3. LA CARITÀ UNIVERSALE
[...]
Doveri connessi con l’ospitalità
67. Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere della accoglienza - dovere di solidarietà umana e di carità cristiana - che incombe sia alle famiglie, sia alle organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta "miseria immeritata". Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.
[...]
Dialoghi di civiltà
73. Tra le civiltà, come tra le persone, un dialogo sincero è di fatto creatore di fraternità. L’impresa dello sviluppo ravvicinerà i popoli, nelle realizzazioni portate avanti con uno sforzo comune, se tutti, a cominciare dai governi e dai loro rappresentanti, e fino al più umile esperto, saranno animati da uno spirito di amore fraterno e mossi dal desiderio sincero di costruire una civiltà fondata sulla solidarietà mondiale. Un dialogo centrato sull’uomo, e non sui prodotti e sulle tecniche, potrà allora aprirsi. Un dialogo che sarà fecondo, se arrecherà ai popoli che ne fruiscono i mezzi di elevarsi e di raggiungere un più alto grado di vita spirituale; se i tecnici sapranno farsi educatori e se l’insegnamento trasmesso porterà il segno d’una qualità spirituale e morale così elevata da garantire uno sviluppo che non sia soltanto economico, ma umano. Passata la fase dell’assistenza, le relazioni in tal modo instaurate perdureranno, e non v’è chi non scorga di quale importanza esse saranno per la pace del mondo.
[...]
LO SVILUPPO È IL NUOVO NOME DELLA PACE
[...]
Tutti solidali
80. In questo cammino siamo tutti solidali. A tutti perciò abbiamo voluto ricordare la vastità del dramma e l’urgenza dell’opera da compiere. L’ora dell’azione è già suonata: la sopravvivenza di tanti bambini innocenti, l’accesso a una condizione umana di tante famiglie sventurate, la pace del mondo, l’avvenire della civiltà sono in gioco. A tutti gli uomini e a tutti i popoli di assumersi le loro responsabilità.
APPELLO FINALE
[...]
Uomini di Stato
84. Uomini di Stato, su voi incombe l’obbligo di mobilitare le vostre comunità ai fini di una solidarietà mondiale più efficace, e anzitutto di far loro accettare i necessari prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per promuovere lo sviluppo e salvare la pace. Delegati presso le organizzazioni internazionali, da voi dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle forze ceda il posto alla collaborazione amichevole, pacifica e disinteressata per uno sviluppo solidale dell’umanità: una umanità nella quale sia dato a tutti gli uomini di raggiungere la loro piena fioritura.
[...][1]